Gio Latis Studio

GIOVANNA LATIS, UNA DELLE FIGURE PROGETTUALI PIÙ INTERESSANTI DEL PANORAMA MILANESE, AFFRONTA NUOVE SFIDE E SI SORPRENDE DI ALCUNE SCOPERTE
La passione per l’architettura è nel suo DNA: prima di lei Vito e Gustavo Latis, figure di rilievo nel dibattito culturale del ‘900 e autori di importanti progetti di edilizia privata, pubblica e industriale, di piani regolatori e prodotti di design; Maria Vittoria Capitanucci ne riassume il valore in “Frammenti di città” edito da Skira; poi Silvia Latis, co-direttrice della rivista Abitare con Italo Lupi e tutt’oggi icona nel racconto dell’architettura. Aspettando di incontrarla al webinar in programma nel palinsesto di Viscom Italia 2021, ci siamo fatti raccontare questa nuova avventura. 
Condomino di via Lanzone 6 a Milano

Vito e Gustavo Latis, 1949/52

Cosa ti ha spinto ad aprire il tuo studio? 

Quando ho finito di studiare avevo la fortissima sensazione di avere ancora molto da imparare e, benché avessi respirato architettura fin dalla nascita, volevo acquisire una dimensione internazionale rivolta al futuro. Per questo sono andata a Parigi da Mario Cucinella, che si era staccato da pochi anni dallo studio di Renzo Piano. Rientrata in Italia sono entrata nello studio di Michele De Lucchi, che allora era una fucina di idee e trasversalità progettuale. Dopo quasi vent’anni, nel 2018, mi sono sentita pronta per mettermi alla prova in prima persona e sperimentare quella libertà che è prerogativa della “libera professione” con tutte le difficoltà e le soddisfazioni che ne conseguono. 

Desideravo esprimermi con un mio linguaggio, frutto della tradizione e degli insegnamenti e sintesi del mio tempo. Come team director dello studio aMDL ho avuto la possibilità di seguire progetti molto interessanti e stimolanti: spesso di grande scala e all’estero. Questa esperienza mi ha fatto capire che gli ingredienti di un progetto sono molti ed è fondamentale non accontentarsi, né innamorarsi, della prima idea. A volte i temi di fattibilità e opportunità, nel senso buono del termine, diventano fondamentali e aiutano ad indirizzare le scelte verso strade che si rivelano poi più corrette. Con Gio Latis Studio ho trovato quella dimensione umana e progettuale di continuità tra decisione, processo e realizzazione, che mi mancava in una realtà gerarchica come aMDL Circle.  Sono molto contenta della scelta e le conferme non sono mancate. Essere selezionati per riprogettare uno dei camerini al teatro degli Arcimboldi è stata un’esperienza bellissima, forte anche di una finalità meritevole: il mondo dello spettacolo è stato uno dei più colpiti da questa pandemia e contribuire alla ripresa di questo comparto è stato emozionante.

Residenze Litta

Residenze Litta, Milano
Gli Arcimboldi in questi ultimi mesi e poco prima il palazzo uffici di via Pirelli a Milano. 

Vi capita spesso di intervenire sull’esistente? 

Sì, decisamente. In Italia poi, c’è più la propensione a salvare e recuperare, che non a demolire e ricostruire e questo è positivo. Nella mia professione m’è capitato più volte di intervenire sull’esistente e, ovviamente, quando si ha a che fare con edifici storici e dal forte valore simbolico è ancora più affascinante. Riportare alla luce la bellezza originale è un’esperienza sfidante e molto appassionante. Ho avuto la fortuna di lavorare in contesti bellissimi come il progetto del Teatro Franco Parenti e dei Bagni Misteriosi, le Residenze Litta a Milano e la Fondazione Cini di Venezia. Tutte occasioni incredibili per declinare le necessità contemporanee con strutture, volumi ed estetica,  che sono il patrimonio del nostro passato e del nostro futuro.


E quando il valore storico non c’è? 

Sempre favorevole a salvare invece che demolire? 

Con le debite distinzioni, direi di sì. In ogni cosa, a guardare bene, si può trovare del buono, ma ci vuole anche il coraggio di metterlo in luce eliminando i tanti strati inutili che spesso lo ricoprono.  Recentemente ad esempio, siamo dovuti intervenire nell’atrio di un grande palazzo di uffici di 18 piani, dove la reception del piano terra era orribilmente ingabbiata in una struttura di vetro e metallo molto pesante e il pavimento in enormi lastre di marmo calacatta ricoperto da moquette. 


Le parti di arredo erano decorate con una finta pelle, eredità forse del finire degli anni ’80 e tutto l’insieme era talmente sovraccarico che la tentazione di demolire tutto, confesso, mi è venuta. I tempi imposti dall’emergenza Covid, e il budget destinato però non suggerivano un intervento massiccio, ma piuttosto richiedevano una soluzione rapida, facilmente implementabile e così si è deciso di valutare una serie di piccoli interventi mirati, quasi chirurgici, per ridare allo spazio il giusto valore estetico e funzionale. 


Abbiamo cominciato togliendo tutto quello che non era più necessario. Molto spesso negli anni, si sovrappongono interventi con diverse finalità, attuati anche da diverse figure, con stili e approcci differenti, per cui in realtà, come gli archeologi che con con cura rimuovono la sabbia e riportano alla luce tesori inestimabili, anche noi progettisti dobbiamo spesso rimuovere questi strati superflui, cercando di ritrovare un’identità originaria o comunque di crearne una nuova, valida e chiaramente comprensibile.

GL_Reception_01

Palazzo Uffici via Pirelli, Milano
In questo caso, in particolare, c'era un problema di fondo con dei serramenti neri in alluminio, che erano davvero troppo evidenti e prevaricanti. Conoscevo la tecnica del wrapping applicato all’architettura anche se non l’avevo mai sperimentata. Mi è sembrata l’occasione perfetta e così, ho scelto un ottone bronzato per ingentilire i profili neri. 

Tra le parti vetrate c’erano diversi vetri fumé, decisamente fuori tempo, che sono stati mascherati con una pellicola sabbiante e per le parti di arredo, che componevano la reception, ho scelto una finitura legno che accostata al legno vero dei profili diventa totalmente mimetica. La duttilità di queste soluzioni ha permesso anche di intervenire su parti che all’inizio non avevo considerato, come  le maniglie e i quadri elettrici,  presenze decisamente troppo invadenti in uno spazio destinato ad accogliere. Li abbiamo così mimetizzati, decorandoli con la stessa finitura bronzata dei telai migliorandone incredibilmente l’impatto visivo. 


Conclusa l’opera di restyling delle parti più “hardware” abbiamo iniziato a ragionare su come questo spazio dovesse dialogare con tutti i suoi abitanti, che ogni giorno avrebbero attraversato l’atrio per raggiungere gli uffici. Le prescrizioni Covid, tra l’altro, erano una parte importante di questa comunicazione e così abbiamo provato ad trasformare questa necessità comunicativa in un’occasione di visual communication, dando una nuova e utile identità alla spazio e aggiungendo una segnaletica delicata e discreta fatta su misura.  


Come avete proposto al committente questo approccio, tutto sommato innovativo, al refitting? 

A dire il vero, uno degli aspetti che più amo nel mio lavoro e nel rapporto che ho con i miei committenti è il rapporto di fiducia reciproca che si crea e che va quotidianamente alimentato. Proporre soluzioni "taylor made" non solo per il cliente ma anche per la sua esigenza del momento è segno di sensibilità che a lungo andare paga. Non sono tra quegli architetti che vogliono imporre a tutti i costi il proprio stile, piuttosto mi piace declinare la mia proposta - che ovviamente ha una traccia stilistica e dei fili conduttori - adattandola alle caratteristiche e alle necessità espresse e inespresse di chi chiede il mio supporto progettuale.  


In questo caso specifico l'alternativa al refitting sarebbe stato un intervento molto più pesante e costoso  ma era una strada non percorribile, con costi e tempistiche irragionevoli. Non avevamo altre soluzioni e questo è stato certamente per provare ad utilizzare le pellicole. Io stessa non immaginavo però che il risultato sarebbe stato così convincente. Come per molti miei colleghi, l’idea di utilizzare materiali “fake” appare un approccio privo di cultura. Dopo vent’anni con Michele De Lucchi, poi, un vero e proprio atto d’insubordinazione! Ma ad una riflessione più attenta ho valutato che il test era necessario: il bilancio finale tra costi, tempi e risultato, non si sarebbe potuto ottenere in nessun altro modo. 

Queste soluzioni segnano una linea di demarcazione molto sottile tra qualcosa di “fake” e qualcosa di assolutamente innovativo, dove il tema della sostenibilità va valutato in senso più ampio e non solo riferita al materiale in sè. Qual’è la differenza tra il dipingere un profilo in alluminio con uno smalto epossidico lucido oppure decorarlo con un film effetto legno? La sostanza dell’alluminio resta comunque quella di un materiale artefatto. 


Quello che mi interessa comunicare è che queste soluzioni, usate consapevolmente,  portano con sé una sostenibilità intrinseca: è vero che si utilizzano pellicole in PVC, però grazie a queste finiture si dà nuova vita a molte cose (strutture, tamponamenti e arredi) che altrimenti sarebbero da smontare, smaltire e sostituire con altri elementi che devono essere prodotti, trasportati con tutto quello che ne deriva. Alla fine se l’organizzazione dello spazio è già funzionale il fatto di modificarne radicalmente la personalità  semplicemente lavorando sulla finitura, in loco,  è del tutto rivoluzionario.  


Quindi utilizzerai in altre occasioni queste soluzioni? 

Certamente sì, e anzi oggi ho più consapevolezza di come la superficie della pellicola possa essere avvicinata e "confusa" con materiali reali, in un mix tra vero e finto che al tempo stesso aumenta la qualità, la durata e le capacità espressive del prodotto.  Credo sia molto importante oggi cercare di ragionare in termini di entropia, di ridurre il più possibile l’impatto del cantiere: la confusione, la produzione, gli scarti… questi interventi leggeri, quasi di maquillage, possono risolvere soluzioni che hanno un’aspettativa temporale di breve e medio termine e che per questo non giustificherebbero un intervento più importante e oneroso. 


Il restyling di questa hall e della sua reception è durato circa una settimana e per la sua modalità di realizzazione, silenziosa e pulita, non ha interferito con le persone che dovevano comunque accedere agli uffici. Avevamo l’urgenza  di intervenire bene e rapidamente e così è stato. Anzi, l’installazione è stata talmente veloce, che paradossalmente la fase progettuale è durata di più di quella esecutiva.